Chi fermerà la musica? – prima parte

Stimolato da una discussione su un forum musicale, ho pensato di provare a ripercorrere il mio percorso musicale fin dalla tenera età. Ovviamente la cosa mi è sfuggita di mano, quindi la ho divisa in parti. Questa è la prima.

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Punta Sant’Anna

“Per spiegare che cos’è Punta Sant’Anna ad un ragazzino di quindici anni, che non ha mai visto giocare una partita in questa vasca, bisognerebbe prendere i libri di storia della pallanuoto: in questa piscina è nato il mito della Pro Recco, in questa piscina si sono disputate tante battaglie memorabili, è un pezzo di storia dello sport italiano” (Niccolò Figari)

Vi racconto una storia. Di sport, ma non solo.

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L’uomo della seconda stella

Estate del 2005: la Pro Recco annuncio l’ingaggio di un venticinquenne giocatore ungherese, Márton Szivós. Il nome è di quelli che pesano: il nonno István ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Helsinki 1952 e Melbourne 1956 e l’argento nel 1948 nella Londra che vide il primo alloro del Settebello, il padre István Jr. può vantare l’oro di Montreal 1976, l’argento di Monaco 1972 e il bronzo a Mexico 1968 e Mosca 1980. La bacheca familiare, insomma, è di prim’ordine. Márton ci ha già messo del suo: con la Honvéd ha vinto cinque titoli nazionali consecutivi, un’Eurolega e una Supercoppa Europea. Di lui si dice che abbia un gran talento e il vizio del gol difficile. La Pro Recco lo ha già incrociato due anni prima, nella Final Four di Genova che riportava la Coppa dei Campioni a Recco dopo vent’anni. È stato il presidente onorario Gian Angelo Perrucci a volerlo a Recco e a chiudere personalmente l’operazione, ritenendo che nella squadra che sta per iniziare l’era Volpi saprà essere una pedina importante. L’inizio non è dei migliori: il ragazzo stenta ad inserirsi negli schemi di Porzio, alterna giocate importanti a momenti di buio completo, c’è chi lo paragona ad un suo conterraneo visto a Recco un po’ di anni prima,  András Gyöngyösi, capace di passare nella stessa partita dal genio agli errori più incredibili. Qualcuno ai piani alti comincia a chiedersi se davvero sia il giocatore giusto.

Marton Szivos - 2006

 La stagione intanto si sviluppa su di una formula a due fasi a gironi, nella seconda fase la Pro Recco non è sempre brillante come la si vorrebbe, addirittura subisce una incredibile sconfitta casalinga contro il Nervi che sommata al successivo pareggio col Savona determina il sorpasso in classifica da parte del Posillipo e mette persino a rischio il terzo posto, con la Leonessa Brescia che incalza. Arriva il 17 febbraio, il giorno dello scontro al vertice: alla Baldini di Camogli, eletta per quella stagione campo di casa, è di scena proprio il Posillipo. Una gara tesa e nervosa come quasi tutti gli incontri fra le due squadre in quegli anni, con il Posillipo sempre avanti fino all’ultimo. Fino a quando, a due secondi dalla fine, Recco guadagna un’espulsione su Udovičić. La palla arriva a Márton all’altezza dei sette metri, defilato sulla sinistra. Ci vuole un numero, e il numero arriva: una girata assassina che taglia tutta l’area, gonfia la rete alle spalle dell’attonito Violetti e sancisce il definitivo 7-7, non certo l’obiettivo di partenza ma un ottimo risultato vista la storia del match. Ed è una rete che segna anche una svolta nel rendimento della squadra, che difenderà fino alla fine il secondo posto andando a demolire a domicilio la Leonessa per 10-3 nel giorno maledetto in cui dalla Spagna arriva la terribile notizia dell’addio alla vita di Jesús Rollán.

Non c’è solo il campionato, ovviamente. Il sorteggio dei quarti di Eurolega mette sul camminoMarton Szivos - 2006 della Pro Recco proprio la Honvéd, e nell’incontro di andata Márton si iscrive al tabellino con tre reti che contribuiscono all’ 11-8 finale. Come ogni anno da allora in poi, con la primavera sparisce ogni titubanza e la Pro Recco diventa una macchina da guerra nella quale l’ungherese ha trovato finalmente il suo posto. Anche nel cuore dei tifosi, che dal gol contro il Posillipo hanno messo da parte ogni riserva nei suoi confronti, e per questo rumoreggiano quando comincia a girare una voce: a fine stagione arriverà Kásás, per Márton il prossimo anno non ci sarà più posto. La voce gira con sempre maggior insistenza, e si rivelerà fondata anche se, per ovvi motivi, non ufficiale fino all’estate. Ma nonostante questo il suo contributo si rivela sempre più importante nell’economia della squadra, che dopo trentadue anni vince la Coppa Italia a Torino, supera la delusione per la sconfitta nella finale di Eurolega a Dubrovnik contro lo Jug (prima puntata di quella che sarà per tre anni consecutivi la sfida per il titolo europeo) e si concentra sull’obiettivo grosso. Dopo essere arrivata a 19 con lo scudetto del 2002, da tre anni la Pro Recco fallisce quel titolo che varrebbe la seconda stella, e questa deve essere la volta buona. Anche se la classifica assegna il fattore campo al Posillipo, che sulle cinque partite ne avrà tre a disposizione alla Scandone.

La prima se la aggiudicano i rossoverdi per 9-6, subito pareggiata dal 12-7 di Punta Sant’Anna. Poi arriva il break di gara 3, con la vasca napoletana espugnata per 12-10 e match point a disposizione. È il 31 maggio, la vecchia piscina affacciata sul Golfo Paradiso è ben oltre i limiti della sua capienza, nella gradinata supplementare che ospita la parte più calda del tifo campeggia un eloquente striscione: “Márton non si tocca”.Gara 4 - 2006 In tanti temono che quella sia l’ultima partita del’ungherese con la calottina biancoceleste numero 5 e non hanno alcuna intenzione di rassegnarsi. E lui risponde da par suo. In gara 1 ha segnato due volte, in gara 3 per tre volte da posizione 5 ha trafitto Violetti, in gara 4 ancora dall’angolo mette a segno il momentaneo 2-2 di una gara che sembra dominata dalla paura, dopo il 5-5 del cambio di campo le due squadre sentono il pallone sempre più pesante ad ogni azione. Alla fine del terzo tempo Recco è avanti per 6-5, troppo poco per sentirsi al sicuro. E si arriva a 3’40”. Dopo un’azione fallita dal Posillipo il gioco si sposta verso la porta a sud e quasi tutte le coppie si formano. Quasi tutte, perché un giocatore è rimasto indietro rispetto agli altri. E no, non è Sandrone Calcaterra, che non ha certo nel nuoto il suo punto di forza ma è già pronto ai due metri. È il numero 5, Márton Szivós. Riceve palla da un compagno a metà vasca, fa ancora un paio di bracciate, si ferma, impugna la palla, osserva lo schieramento d’attacco. E poi d’improvviso, tira. Scaglia un missile con un maligno effetto a uscire che termina sotto l’incrocio dei pali alla destra di Violetti, beffato da lontano come quattro mesi prima a Camogli. Punta Sant’Anna esplode in un urlo così forte che chiunque lo senta, dal lungomare o dalle vie vicine, capisce che non è un gol qualunque. E lui lì, a metà vasca, con le braccia aperte e un’espressione di gioia che pochi tra i presenti potranno dimenticare. È la rete che fissa il risultato finale di gara 4, e regala a Recco il ventesimo scudetto e la tanto sognata seconda stella.

Eppure tutto questo non basta. Il 2 agosto 2006 il sito ufficiale della Pro Recco ufficializza la “risoluzione consensuale” del contratto con Márton e l’ingaggio di Tamás Kásás, che andrà ad indossare la stessa calottina numero 5. Chi lo ha incontrato in quei giorni racconta di un dispiacere fino alle lacrime e di una profonda delusione per una scelta che sperava di  poter rovesciare con le sue prestazioni. Ed è anche per questo che a Recco ancora oggi lo ricordiamo con grande affetto, e con un rammarico appena attutito dalla classe assoluta di chi lo ha sostituito. Immaginate quindi che effetto può avere svegliarsi un sabato mattina e leggere

 Durante l’incontro di campionato fra Szeged e Vasas, appena dopo aver segnato avverte un forte dolore al petto. “Credevo fosse un crampo” dirà poi a Waterpolo.hu. Dopo una breve sosta torna in acqua e continua a giocare. A fine gara lo convincono a sottoporsi ad una visita di controllo, che si trasforma in un intervento di urgenza per porre rimedio ad un infarto. Vengono i brividi pensando all’epilogo di altre situazioni simili nello sport, da Curi a Morosini. E invece il giorno dopo Márton nella stessa intervista dichiarà “All’Europeo ci sarò”. Se sia incoscienza, o fiducia nel suo fisico, o incrollabile speranza, lo sapremo solo fra un paio di mesi. Per ora possiamo tirare un enorme sospiro di sollievo. Gyógyulást, Marci!

Foto: archivio Pro Recco

E di nuovo in vetta

Le cadute fanno male. E, di solito, il male che ti fai è proporzionale all’altezza da cui cadi. Per cui, se cadi dall’Everest ti fai malissimo. Eppure c’è chi da una caduta del genere sa tirare fuori stimoli, motivazioni, desiderio di rivalsa, senso di appartenenza e tanta ostinata determinazione, mette tutto insieme e ottiene una miscela degna della pozione magica di Asterix. Questa è la storia di una squadra che con quella miscela ha saputo scalare di nuovo la montagna e piantare la sua bandiera in vetta.

E’ il tardo pomeriggio del 19 luglio di un anno fa quando il Consiglio di Amministrazione della Pro Recco, in una riunione che pare una udienza del Tribunale Fallimentare, sancisce la chiusura del settore femminile nato solo un anno prima e vincitore di scudetto e Coppa dei Campioni. Una botta tremenda per chi era arrivato da Rapallo convinto di aver trovato una casa accogliente, solida e duratura e si vede invece dare lo sfratto. Una botta tremenda per le ragazze della Prima Squadra, metà delle quali apprende la notizia dal ritiro della Nazionale in preparazione per le imminenti Olimpiadi. Una botta tremenda per le atlete più giovani, promesse della pallanuoto italiana che partono per le finali di categoria senza sapere se avranno una squadra in cui giocare l’anno prossimo. Una botta tremenda, soprattutto, per due persone: Alessandro Martini e Mario Sinatra.

Martini è il dirigente responsabile del settore femminile, ma la definizione è riduttiva: Alessandro è il capofamiglia, è il Presidente che con entusiasmo e passione ha portato per la prima volta una squadra di Rapallo a vincere un titolo europeo (la Coppa Len del 2011) e a giocarsi lo scudetto fino all’ultimo minuto contro l’assopigliatutto Orizzonte Catania, è colui che ha accettato il passaggio di tutta la squadra a Recco col sogno di farla diventare grande davvero. E se Alessandro è il capofamiglia, Mario è il fratello maggiore: il tecnico dallo stile tanto pacato quanto invece burbero risulta il suo aspetto, l’allenatore che ha insegnato a giocare e  a vincere a buona parte di queste atlete, e che nel passaggio a Recco si è visto sfilare la conduzione della prima squadra assegnata a Riccardo Tempestini per essere destinato al settore giovanile.  Insieme hanno raggiunto traguardi importanti, nessuno dei due si vuole rassegnare all’azzeramento. Chiamano a raccolta chi non si arrende, e tutti insieme si rimboccano le maniche, bussano ad ogni porta, trovano appoggi e contributi, superano le questioni burocratiche, riportano tutto a casa. Il 25 ottobre la Sala Consiliare del Municipio di Rapallo ospita la presentazione della squadra che disputerà il campionato di A1 col nome di Nologames Rapallo Pallanuoto. C’è chi ha fatto altre scelte ed è andata via: Roberta Bianconi ed Elena Maggi a Bogliasco, Simona Abate e Johanne Begin a Messina, Elena Gigli a Firenze, Raffaella De Benigno e Federica Cordaro in A2 rispettivamente a Cagliari e Milano, Rita Dravucz sceglie di dedicarsi alla famiglia e torna in Ungheria. Ma c’è chi non ci sta ad abbandonare la barca e sceglie di restare, a costo di farlo praticamente gratis. Restano Solveig Stasi e Giulia Rambaldi, Aleksandra Cotti ed Elena Queirolo, restano soprattutto Teresa Frassinetti e Dora Kisteleki, i due elementi probabilmente di maggior caratura tecnica. Attorno a loro si costruisce una squadra fortemente ringiovanita, ma con nuovi innesti che già parlano la stessa lingua delle “veterane”. Nel presentarle Martini, che ha lasciato il ruolo di presidente a Enrico Antonucci, non riesce a trattenere l’emozione, metà sfogo di tutta la fatica fatta, metà gioia per esserci riuscito.

Si parte per disputare solo il campionato: le risorse a disposizione non permettono di difendere la Coppa dei Campioni vinta a Kirishi, ci sarà solo la Supercoppa Europea a Imperia. Dove le padrone di casa si prendono la rivincita della finale scudetto battendo nettamente le rapalline (e bissando quattro giorni dopo nel confronto di campionato). Nessuno fa drammi, al netto dell’ovvio dispiacere per la sconfitta. C’è l’intima sensazione che i sacrifici e le rinunce saranno ripagate, prima o poi. Anche la finale di Coppa Italia, persa contro Catania, viene assorbita senza traumi: il campionato e la sua classifica dicono che si può lottare per il bersaglio grosso. Dicono che le più giovani crescono e il loro contributo aumenta. Dicono che a distanza di un anno esatto si potrebbe tornare là dove si vinse il tricolore, alla Marco Galli di Civitavecchia.

Il resto è storia recente, che passa attraverso la faticosa semifinale contro Firenze e  l’incrocio con un pezzo del proprio passato (Elena Gigli, unica fra quelle che sono andate via ad aver raggiunto l’atto finale del campionato) per raggiungere la partita che vale tutta la stagione e ritrovare chi due anni fa aveva impedito che lo scudetto arrivasse per la prima volta a Rapallo. Contro l’Orizzonte che vuole a tutti i costi la seconda stella il Rapallo mette in acqua la sua pozione magica fatta di tutto ciò che ha passato nei dieci mesi precedenti, e fa impressione la calma serafica di Mario Sinatra contrapposta alle urla di Martina Miceli sulla panchina avversaria. Rapallo vince, le ragazze vincono un titolo che sentono molto più “loro” di quello dello scorso anno, perché non è solo uno scudetto. Sono state buttate giù, e sono risalite su quella vetta che gli appartiene.

Bentornate, campionesse.

Rapallo Pallanuoto

Foto: Ufficio Stampa Rapallo Pallanuoto

Cinque anni fa, il trionfo sotto il diluvio

Maggio, mese di finali, di gare importanti, di tensione e adrenalina. E in attesa  delle finali scudetto non può mancare un nostalgico pensiero alla Final Four di Champions League, che non ci vedrà presenti per la prima  volta dal 2005 (e sorvoliamo sui motivi dell’assenza). Pensiero che, incrociato con un’occhiata al calendario, riporta alla memoria uno dei ricordi più intensi della storia recente della Pro Recco: la Final Four 2008 a Barcellona. Era il 10 maggio 2008 quando il diluvio universale fece da drammatica cornice alla conquista della quinta Coppa dei Campioni. E mentre il cielo di oggi minaccia pioggia, quasi volesse unirsi al ricordo, io ripesco dall’archivio il diario di quella trasferta. Buona lettura!

Barcellona, diario di una trasferta

Giovedì 8 maggio

Le grandi attese sono sempre complicate da gestire. Quando aspetti qualcosa per molto tempo arrivi al dunque con un surplus di adrenalina da rifornire un ospedale. Ti svegli al mattino del giorno X e cominci a contare i minuti che ti separano dalla partenza, chiudi gli occhi e cerchi di immaginarti tutte le scene che andrai a vivere fra qualche ora. Ecco, questo è il tuo avvicinamento alla partenza per Barcellona. Uscire di casa sembra una liberazione dalla tensione, anche se assomigli più ad uno sherpa che ad uno che parte per stare via tre giorni e arrivi al luogo dell’appuntamento pregando che qualcuno ti presti un paio di mani per reggere tutto. E mica finisce lì: quell’entusiasmo che ti fa regredire di una ventina abbondante di anni si diverte a mandarti in confusione, al momento di accogliere i tuoi compagni di viaggio cerchi di fare quattro cose contemporaneamente e i risultati sono quelli che sono. Se il buongiorno si vede dal mattino, la parola d’ordine sarà “delirio”.

Ti piacciono le partenze puntuali, vero? Su 148 persone ne resta a terra solo uno, che come il porto d’attracco cantato da Fossati non ha dato segno di sé, e vista la situazione puoi ritenerti soddisfatto così. Sono le 23 e pochi minuti, ti attende una notte lunga 880 chilometri, e tante cose da fare. I tre pullman viaggiano incolonnati, da quel che si intravede dai finestrini si direbbe che sul 3 sia in corso un rave…va bene, ragazzi, sfogatevi e poi dormiteci sopra, le energie serviranno soprattutto in piscina. Intanto una prima presa di contatto con i tuoi compagni di viaggio presenta un preoccupante quadro, tipo un terzo del pullman sprovvisto di prenotazione alberghiera. D’accordo che è il tuo lavoro, ma trovare stanze a mezzanotte da un’autostrada non è proprio una cosa facile…domattina ti verrà in mente qualcosa, ora dormi pure tu. Sì, bravo, dormire…ma quando mai sei stato capace di dormire su un pullman? Il sonno degli altri è una tortura, le cifre rosse dell’orologio di bordo ti riflettono negli occhi ogni minuto che passa, lo sguardo segue ogni cartello autostradale….lo facevi da piccolo, e a quanto pare non hai perso il vizio.

Venerdì 9 maggio

Le prime luci dell’alba si accendono all’altezza di Arles, più o meno a metà del cammino. Come da manuale non hai chiuso occhio, come da manuale un malinteso col pullman 1 ha fatto saltare l’incontro e bisogna rimediare: sosta lunga a Narbonne per sgranchire le gambe, fare colazione e recuperare il rendez-vous. Il cielo non sembra volersi disfare delle nubi, e la speranza che i bollettini meteo si sbagliassero si rivela vana ad ogni chilometro che passa: la vera parola d’ordine avrà la stessa lunghezza della precedente, ma un effetto meno divertente: “pioggia”. E ora che sono tutti più o meno svegli è il momento di quel discorso da guida che ti sei preparato per giorni pensando a tutti i particolari che possono evitarti di ricorrere alla Guardia Civil per recuperare i dispersi. Ora che sono tutti più o meno svegli ed è pure giorno cerchi di capire quante facce conosci e quanti sono quelli usciti da chissà dove, chi ha il tuo entusiasmo e le tue tensioni e chi magari ha solo sfruttato l’occasione per farsi un giro a Barcellona senza pagare il viaggio. Ora che sono tutti più o meno svegli, ed è pure giorno, e il catalano sostituisce il francese nei cartelli, ti accorgi dei chilometri percorsi, e pensi che ripercorrerli domenica potrebbe essere una festa o una tortura, e che la scelta potrebbe essere questione di particolari.

Piscina MunicipalLa tanto temuta pioggia si presenta dalle parti di Girona, e sarà la compagnia più fastidiosamente fedele che potevi immaginare. Il cielo è livido, non si intravede un’apertura, e mentre i navigatori si divertono a dare ognuno la sua versione dell’itinerario da seguire ti ritrovi improvvisamente fra le colate di cemento di Glories: benvingut a Barcelona, l’accoglienza poteva sicuramente essere migliore e qualcosa ti dice che non hai ancora visto nulla. Genova e Barcellona hanno alcune cose in comune, una di queste pare essere il traffico bloccato ogni volta che piove: fra code e semafori il percorso che separa lo svincolo autostradale da Plaça de Catalunya abbasserà notevolmente la media oraria….poco male, l’importante è essere arrivati.

Il check-in all’hotel è un po’ farraginoso e riserva subito qualche intoppo, mentre il telefono squilla in continuazione e capisci perché i viaggi preferisci organizzarli piuttosto che accompagnarli. Alla fine chiedi ospitalità per una rapida doccia, la tua camera sarà l’ultima ad essere resa disponibile, la troverai prima di salire al Montjuic. Lo stomaco reclama, fra un’attesa e l’altra si è fatto tardi…tardi per le tue italiche abitudini, non certo per i catalani, e sperare di trovare posto in 14 sulla Rambla è impresa disperata, fra camerieri che vogliono fare i simpatici e non trovano di meglio che darti dell’italiano mafioso e lancette impietose a ricordarti che c’è un appuntamento importante. Separarsi è l’unica scelta per mettere le gambe sotto il tavolo, mentre la pioggia pare essere sopportabile. Lo sarà molto meno all’uscita dal ristorante: la piazzetta è spazzata da un temporale furioso, benedici il momento in cui hai pensato di portare l’ombrello ma allo stesso tempo realizzi che in una situazione simile potrà giusto ripararti la testa. Di corsa in albergo ad indossare tutto ciò che di biancoceleste hai saputo portare, peccato solo che l’impermeabile sia rosso e copra tutto il resto rendendoti più simile ad un tifoso dello Jug. La pioggia si è stabilizzata sul livello “quasi tempesta”, e in collina anche il vento vuole essere protagonista. In metropolitana ti immagini di incontrare un sacco di gente diretta alla Piscina Municipal, e invece trovi solo uno sparuto gruppetto di ungheresi alla partenza della funicolare….comincia a farsi strada il sospetto che sarà una cosa per pochi intimi. E in effetti……

…..in effetti lungo il viale punteggiato di foglie come a novembre incontri poca gente, c’è un po’ di assembramento solo sotto la tettoia dell’ingresso allaPiscina Municipal piscina, unico punto coperto di tutto l’impianto e dal quale ovviamente la vasca non si vede. I primi che incontri danno fiato alle peggiori leggende metropolitane: non si gioca, si gioca più tardi, si gioca domattina, si annulla tutto, si cambia piscina. Basta allungare il naso oltre la tettoia e vedere laggiù in fondo i giocatori impegnati nel riscaldamento per capire che la partita si disputerà regolarmente, e ti torna alla memoria quella sorta di maledizione per cui ogni volta che veniva scoperta Punta S. Anna vi si addensava il cielo di Mordor. Alla pioggia negli appuntamenti importanti sei abituato, no? Distribuisci i preziosi biglietti, ti guardi in giro come la piccola vedetta lombarda alla caccia di quei cinque che mancano all’appello, poi guardi l’ora e pensi che in caso di bisogno hanno il tuo numero e ti chiameranno.

Il momento della verità è giunto, domani sera si può vincere la Coppa, ma se non vinci stasera non ci arriverai mai. E con questa tensione addosso la pioggia nemmeno la senti più, hai pensieri solo per quegli avversari in calottina bianca cui la recente vittoria in campionato ha modificato lo status da “abbordabile” a “spauracchio”. Il tuo rotolo di bandiere è rimasto in albergo, il tuo vecchio due aste non reggerebbe la pioggia e usarlo stasera significherebbe non averlo domani. E nella fretta hai lasciato in albergo anche le mazze gonfiabili che hai trovato nel kit del tifoso. Pazienza, si tifa col cuore e con la voce, il resto è un di più. Via, si parte e si segna subito, quel che ci vuole per prendere coraggio e pensare positivo. Poi 2-1, 6-3, addirittura 9-3, poco importa che nel quarto tempo siano solo gli altri a segnare, lo scoglio è stato superato e ti domandi se era proprio questo lo Tamas Kasasspauracchio. E indovina chi ritroverai domani sera? Ma lo Jug, certo, gli stessi dell’anno scorso, gli stessi di due anni fa, pare la storia infinita, una storia alla quale la prestazione di stasera ti fa guardare con maggior fiducia. E ora via, verso la funicolare, verso l’albergo, verso una doccia calda e un tavolo a cui cenare. Sei sveglio dalle 6 e mezza di giovedì mattina, ma la dose extra di adrenalina che la partita ti ha fornito basterà ad evitarti di crollare sulla paella. E’ l’una di notte quando rientri in albergo, ora puoi finalmente riposare mentre la pioggia non accenna a diminuire.

Sabato 10 maggio

Al risveglio sei uno zombie, al secondo passo appena sceso dal letto la gamba cede e scontri il televisore, scosti la tenda e impieghi un minuto buono a capire che quello spiazzo di cemento sotto al tuo balcone non è asciutto come ti sembra. Piove ancora, ha piovuto tutta la notte. I catalani esultano, hanno rischiato il razionamento idrico e per loro questo nubifragio è una benedizione, tu invece pensi che stasera sarà impietosamente peggio di ieri. Le ore da far passare sono parecchie, il telefono squilla e ti chiedono conferme al fantomatico spostamento in quella San Jordi detta “La Catedral” già visitata cinque anni prima. Una nuova leggenda metropolitana che ti accompagnerà fino al momento di risalire il Montjuic senza ovviamente trovare conferma alcuna. Che fare per occupare il tempo? Ti butti nella multicolore confusione del mercato coperto della Boqueria, dove Piscina Municipalsalta agli occhi una capacità di presentazione del prodotto che dalle tue parti sarebbe pura fantascienza. Anche nel cuore di una metropoli puoi trovare un angolo, coperto per fortuna, in cui sentirsi come in un paesino di provincia a contrattare con fruttivendoli e venditori di spezie, dove trovare curiosi accostamenti come un banco di cucina orgogliosamente vegetariana di fronte a due macellai e varietà di frutta di cui nemmeno sospettavi l’esistenza.

Prossima tappa sarà un negozio di articoli sportivi dove i tuoi compagni daranno l’assalto a cerate e impermeabili di ogni tipo in previsione di una serata che ormai tutti immaginano come drammatica, e poi ti rituffi nel labirinto della metropolitana in direzione della Sagrada Familia. La avevi vista 9 anni fa, e aveva tutto sommato un suo senso; la rivedi oggi e prenderesti a schiaffi chi ha disegnato le nuove sezioni. Ma come, se c’è uno che non tirava una linea dritta era proprio Gaudì, cosa sono queste forme squadrate? Una vera delusione, che svanisce presto di fronte ad un pranzo seduto al bancone proprio come desideravi, l’inizio di un quieto pomeriggio che passerà per l’inevitabile visita a El Corte Inglés per proseguire in camera, ad ingannare l’attesa chiacchierando e mangiando biscotti guardando dal sesto piano la torre dell’hotel Catalunya sparire a tratti dietro il muro di pioggia.

Sono le 18,30 e il momento è giunto. Ciò per cui sei venuto fin qui ti afferra lo stomaco e lo stringe forte, e mentre la comitiva marcia verso la metropolitana ti domandi quale visionario regista possa aver architettato tutto questo. Lungo il tragitto incontri ancora meno gente di ieri, a vedere la finale di consolazione ci sono i soliti ungheresi ad alta gradazione alcoolica e uno sparuto gruppo di tifosi del Mladost, evidentemente delusi dal risultato della semifinale. In piscina non hai ancora incontrato uno spagnolo che non fosse dotato di pass, quindi in qualche modo addetto ai lavori, e non può essere solo questione di meteo. Chissà se almeno i tabelloni funzioneranno stasera, o se continueranno a proporre cifre del tutto casuali come ieri sera… Prendi posto Barcellona 2008in gradinata, di nuovo in un settore che non sarebbe stato il tuo, e tempo cinque minuti hai i ranocchi nelle scarpe. Sì, il presentimento era giusto, sarà molto peggio di ieri. Sollevi lo stendardo e il vento quasi vorrebbe spingerti sul Tibidabo, due lettere si staccano subito e ti convinci che non tornerà a casa con te. La città, in condizioni normali fantastico sfondo agli eventi sportivi, quasi non si vede; le guglie di Gaudì sono un’ombra incerta sullo sfondo, persino il suppostone di Glories fatica a farsi notare, e a venti minuti dall’inizio manca ancora un sacco di gente. Chi non si ferma mai sono gli ungheresi che continuano a cantare a torso nudo, ormai persi in un nirvana tutto loro. Le squadre come ieri fanno la presentazione direttamente dall’acqua, i boati di saluto ad ogni nome dei tuoi sono il segno che in gradinata sono finalmente arrivati proprio tutti. Chiudi gli occhi e stringi i pugni, si comincia…..

Barcellona 2008E’ dura, proprio come immaginavi, sempre testa a testa, sempre in equilibrio, quando il margine comincia ad allungarsi cerchi il coraggio o l’incoscienza di pensare che sarà una replica di ieri, quando a meno di tre minuti dalla fine il vantaggio è di tre reti qualcuno urla “E stasera, sangria per tutti!” Un secondo dopo gli altri iniziano la rimonta: undici pari a tempo quasi scaduto, lo spettro dei supplementari. Sei in trance, nervosissimo, urli improperi che non ti appartengono, quando su rigore lo Jug sorpassa ti crolla il cielo addosso ma non perdi quel tuo ingenuo e inconsapevole ottimismo. E poi Sandrone pareggia, e loro non riescono più a concludere, e perdono palla, e chiami il time-out assieme a Pino, stai tremando e non certo per il freddo, sei in acqua pure tu con loro e l’ultima palla è nelle tue mani, la lotteria dei rigori dietro l’angolo, quando Norbert subisce fallo a sei secondi dalla fine è il tuo braccio a guidare il suo, un momento infinito come nei cartoni giapponesi, la rete si gonfia e tu impazzisci assieme ad altre duecento persone, in un urlo così forte che persino la pioggia sembra intimorirsi e farsi rispettosamente da parte. Mancano cinque secondi alla fine, la Coppa è lì ad un passo ma non osi anticipare i tempi, guardi l’ultimo disperato tentativo croato perdersi nel nulla e resti immobile a guardare il cielo con le braccia alzate, le gocce sul viso non sono più pioggia ma lacrime liberatorie di una gioia infinita per una meta raggiunta, poi persa e infine riacchiappata con le unghie. Campioni d’Europa. Missione compiuta.

(clicca qui per gli highlights della partita)

Domenica 11 maggio

Norbert MadarasSe avessi voluto scommetterci non te la avrebbero accettata: c’è il sole a far capolino fra le tende in questa dolce domenica mattina nella quale Barcellona si mostra in tutta la sua bellezza. Peccato che non ti resti altro tempo, solo quello di riempire lo zaino e aspettare il pullman per un lungo viaggio di ritorno. Venerdì mattina sentivi che la differenza fra un ritorno felice o mesto sarebbe stata questione di particolari, e così è stato. Quei particolari, quegli attimi che già altre volte avevi visto decidere le sorti della Pro Recco: la zampata di Marco Galli nell’inferno di Albaro, il balzo in cielo di Ferretti a preparare il gol di Ikodinovic alla Sciorba, quella palla malandrina scagliata da Buonocore a tempo scaduto, il missile di Felugo l’anno scorso a Milano. Quei particolari che ti fanno amare questo sport nel quale nulla è certo fino a quando non lo sancisce la sirena. Sul pullman c’è chi parla già di Savona e di finale scudetto, ma tu vuoi gustarti ancora le tempestose emozioni di ieri sera, ogni tanto chiudi gli occhi e rivedi quella rete che si gonfia dietro la spinta del pallone, rivedi la gioia negli occhi dei giocatori che sei corso ad abbracciare, e sorridi. E sai bene che nonostante la stanchezza, il sonno, la pioggia, i momenti difficili, nonostante tutto questo se ti dicessero che domattina si riparte saresti in prima fila. Soprattutto, sai bene che stanotte arriverai a casa, mollerai i bagagli in mezzo al corridoio, sfiderai il sonno e andrai a rivedere quegli ultimi venti secondi di partita, e al gol alzerai le braccia al cielo come ieri sera, con lo stesso brivido che ti scuoterà come gli alberi nella tempesta del Montjuic.

Photo credits: vlv.hu
Video di Edoardo Osti