Chi fermerà la musica? – seconda parte

cit_SaxonSiamo nel 1981, l’estate fra le medie e il liceo, quando un juke-box sul lungomare mi fa scoprire, nascoste fra gli ultimi successi, alcune cose vecchie e nuove che mi attirano come il Lato Oscuro: da We Are The Champions a Heavy Metal Thunder, da You Shook Me All Night Long a Black Dog, da You Really Got Me a Smoke On The Water, da I Was Made For Loving You a Don’t Stand So Close To Me.  Da allora nulla sarà più come prima. La mia compulsiva attività di registrazione dalla radio cambia metodo e inizia a concentrarsi su sonorità che non sono quelle della musica da discoteca. Un anno dopo grazie ad un amico mi viene concesso di entrare a Radio Squonk e condurre un mio programma: accetto con entusiasmo, pur avendo una competenza musicale che definire disordinata è poco. L’esperienza dura un annetto, l’emittente qualche tempo in più. Siamo ancora nel periodo in cui le radio private per la maggior parte sono fatte di entusiasmo, ingenuità, passione, un pizzico di inevitabile cialtroneria, programmi di dediche e richieste con le telefonate in diretta. Mando in onda letteralmente qualsiasi cosa, osservo gli altri speaker, ascolto e imparo. Ad esempio vengo a scoprire che i Genesis, che conoscevo per la sigla di un programma della neonata Rai Tre dal curioso titolo di L’Orecchiocchio, hanno una storia ben diversa dalle due canzoni in essa contenute (Turn It On Again e Duke’s End). Che quel Phil Collins che trasmetto in continuazione arriva proprio da lì. Che i Pink Floyd non sono solo Another Brick In The Wall. Che quei cinque capelloni stranieri che a fine agosto del 1980 avevamo visto girare in spiaggia erano gli Iron Maiden, gruppo spalla dei Kiss nel tour che aveva toccato Genova proprio in quei giorni. Che esiste un gruppo italiano chiamato Squallor i cui dischi non si possono trasmettere “altrimenti arrivano i Carabinieri e ci fanno chiudere”.

A quel punto i miei orizzonti di ascolto sono completamente cambiati rispetto a solo tre anni prima, e la curiosità cresce ogni giorno che passa. È un percorso formativo ai limiti del clandestino, in molti negozi di dischi non hanno mai sentito nominare i gruppi che gli chiedo (ad un certo punto diventerà persino un gioco), e per fortuna esiste quel luogo dello spirito che è Disco Club a Genova. Una sera, smanettando con una radiolina a transitor scopro che si riesce a captare il debole segnale di un’emittente milanese dal nome di Radio Peter Flowers, e lo scopro proprio durante un programma all’ora di cena. Linea Rock, condotto da tal Marco Garavelli. È la svolta definitiva. Black Sabbath, Angelwitch, Judas Priest, Saxon, Motorhead, Def Leppard, tutto ciò diventa il mio pane quotidiano. Trovare qualcosa in tv invece è utopia pura: a parte qualche exploit della neonata VideoMusic, la musica sullo schermo allora si chiama soprattutto DeeJay Television, e il metallo lì è visto come la peste. Resta solo qualche momento isolato come le apparizioni dei Kiss (a Sanremo in collegamento da New York e in studio a Discoring nel 1982) e l’improbabile presenza dei Saxon sul palco di Sanremo l’anno dopo. È arrivato Carlo Massarini col suo rivoluzionario Mister Fantasy, trasmette molto “nuovo” rock, ci troverò suggerimenti importanti, ma il lato più heavy resta scoperto. In edicola la situazione non è certo migliore. Sui periodici musicali i pochissimi dischi recensiti sono spesso trattati con sufficienza, la cosa più vicina ad una rivista specializzata è il pionieristico spazio a cura di Beppe Riva all’interno della bibbia alternativa Rockerilla, che poi amplierà il gruppo dei suoi collaboratori per arrivare a ottenere, oltre ad una memorabile copertina dedicata ai Manowar, ben due numeri speciali dal titolo di Hard’n’Heavy.Hard'n'Heavy n.1 Tocca guardare all’estero e all’imprescindibile stampa britannica con Kerrang!, la meteora Metal Forces e il nuovo Metal Hammer, tocca addirittura rispolverare il francese per leggere la transalpina Enfer, in attesa che la scena giornalistica italiana colmi il divario con la confluenza della redazione di Hard’n’Heavy in Metal Shock, e poi con HM, subito ribattezzato Caccaemme dai più intransigenti che non ne tollerano l’impostazione tesa a considerare metallaro il ragazzino con l’adesivo degli Ac/Dc sulla Vespa. Del resto siamo alla riedizione nostrana della contrapposizione Rockers-Mods che segnò gli anni ’60 a Londra: l’Italia giovanile di metà anni Ottanta si divide in metallari e paninari, e ovviamente il mondo del metallo si sente chiamato alle armi in servizio permanente effettivo.

2 – continua

(la prima parte è stata pubblicata qui)

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