Chi fermerà la musica? – prima parte

Da dove abbia preso la passione per la musica non è del tutto chiaro. Nella mia famiglia non si hanno notizie di passioni per le sette note, soprattutto passioni applicate (leggi: saper suonare uno strumento). Fatto sta che quando a 5 anni chiedo e ottengo in regalo una batteria nessuno immagina che l’arte delle Muse avrà una simile importanza nella mia vita. Eppure qualche sospetto dovrebbero averlo, visto che ho una vera fissazione per la radio e in particolare per una trasmissione condotta da Lelio Luttazzi e intitolata Hit Parade, che presenta la classifica dei 45 giri più venduti della settimana. Dopo l’inserimento nel coro della scuola elementare (dove ero il più piccolo in tutti i sensi), le lezioni di musica mi portano a familiarizzare con uno strumento che alcuni definiscono musicale e (molti) altri di tortura: il flauto dolce, grazie al quale inizio a tirare giù a orecchio qualsiasi cosa ascolti, dalla sigla di Carosello a quelle dei cartoni animati, fino a quando l’insegnante mi convince ad entrare nella banda del paese. Dopo qualche perplessità lo strumento prescelto è il clarinetto, e il repertorio mi indirizza inevitabilmente alla scoperta della musica classica con abbondanti dosi di Verdi, Rossini, Beethoven, Bach, Mozart, Schubert. Ascolto ancora molto la radio, ma la musica che trasmettono non sembra coinvolgermi particolarmente. Una canzone però mi colpisce: è divisa in momenti stilistici diversi, c’è addirittura una parte orchestrale, mi dà la sensazione (errata) di essere interminabile. Si intitola, guarda caso, Music. E lascia dentro di me una sorta di bomba ad orologeria che esploderà al momento giusto.

 

Nella seconda metà degli anni Settanta esplode il fenomeno delle radio libere, molto più disinvolte nello stile e nelle proposte musicali rispetto a mamma Rai. Scopro l’esistenza di ben due emittenti basate a qualche centinaio di metri da casa mia. Una si chiama Radio Quasars, trasmette da un garage ma ha grandi ambizioni (nelle sue trasformazioni diverrà, trasferita a Genova, la pietra angolare del network di Radio Donna). L’altra ha lo strano nome di Radio Squonk e tappezza Recco di adesivi con uno strano animaletto piangente appoggiato ad un’antenna. Soprattutto dalla prima, grazie anche ad un mostruoso (per dimensioni) radioregistratore regalatomi da uno zio, inizio a registrare cassette su cassette con dentro letteralmente qualsiasi cosa, italiana o straniera non importa, dischi da classifica e cose meno note, rock band e cantautori (i miei primi grandi amori in effetti sono Edoardo Bennato ed Eugenio Finardi). Una sorta di bulimia musicale che riporta il baricentro dei miei ascolti verso la contemporaneità.

 

DiscoringIntanto la musica comincia ad avere qualche spazio informativo dedicato alla televisione. Quando ero più piccolo esisteva un programma intitolato Adesso musica, ma andava in onda ad un orario tassativamente vietato ai bambini che per una legge non scritta potevano superare le 23 solo a Capodanno. Poi arriva Discoring, che dà finalmente un volto a molti di quegli artisti italiani e stranieri che registro alla radio. Pazienza se è tutto in playback, ora non è davvero un problema. E irrompono sulla scena le tv private, che con un approccio simile a quello delle radio talvolta riempono il palinsesto con momenti musicali i cui contenuti sono frutto più dell’estro di chi cura il programma che di una linea editoriale ben precisa. Tutto ciò prepara il terreno per la rivoluzione che mi attende di lì a poco.

 

 

(1 – continua)

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