Chi fermerà la musica? – terza parte

A scuola un giorno un ragazzo di quinta mi mostra come fosse un trofeo un album dalla copertina nera con un martello e una macchia di sangue. Dopo mille preghiere lo ottengo finalmente in prestito, lo metto sul piatto, alzo il volume e resto allibito e ipnotizzato, l’unica cosa che riesco a dire o pensare è “cazzo quanto pestano!”. Oggi è difficile immaginare l’effetto che Kill ‘Em All ebbe allora su chi ascoltava o si avvicinava all’hard rock, quando già Ace Of Spades sembrava un limite invalicabile pena sconfinare nel “rumore” dell’hardcore punk; il bello è che nessuno immaginava che quelle note apparentemente così estreme sarebbero state detronizzate molto presto in una corsa al “louder, faster, heavier” che alla lunga imploderà su sé stessa. La nota comica: quando l’anno successivo uscirà “Ride The Lightning” il primo ascolto di Fight Fire With Fire mi farà esclamare “no, dai, questo è troppo…”. Il volume non sembra volerne saperne di scendere e pare invece creare dipendenza. Ma mentre scopro i Venom, e gli Slayer, e i Kreator, e c’è chi mi chiede sarcasticamente se queste robe le incidano direttamente in una fonderia, parallelamente l’orecchio inizia a sentire il bisogno di soluzioni armoniche e melodiche un po’ più elaborate. Imbattersi nel disco d’esordio dei Queensrÿche è quindi un provvidenziale punto di svolta: l’atmosfera epica e solenne, le armonie vocali, l’intreccio delle chitarre fanno di The Warning un’altra colonna portante del mio percorso. Manca però un elemento imprescindibile per chiunque si appassioni alla musica: il concerto. Finora la mia esperienza live si limita ad un concerto di Edoardo Bennato al campo sportivo di Chiavari, è forte il desiderio di vedere in azione quei musicisti che quotidianamente escono dalle casse dello stereo per deliziare (ahem…) il vicinato. Quando si presenta l’occasione sono colto da un marasma degno del miglior Fantozzi: i Metallica al Tenda Lampugnano di Milano. A quasi quarant’anni di distanza faccio ancora fatica a trovare le parole per descrivere le sensazioni di quella sera, in un ambiente che ai miei occhi aveva i tratti di un rito pagano. Occhi sgranati, adrenalina a fiumi, orecchie che fischiano, voce ridotta ad un rantolo, mentre sul palco i quattro di San Francisco suonano con una furia che non avrei creduto possibile, accelerando ulteriormente brani che già sul disco viaggiano a duecento all’ora. È solo il primo di una lunga serie, non è sicuramente il più bello, ma mi apre un mondo del quale sento di voler fare parte. Possibilmente sul palco,  non solo in platea.

Il clarinetto, va da sé, è stato abbandonato così come l’idea del conservatorio; mi è bastato rendermi conto di essere diventato allergico alle parti scritte da seguire nota per nota per capire che non era più il mio ambiente. Da un paio di anni ho un organo elettronico a casa e da solo, con tutti gli errori di impostazione del caso, imparo a suonarlo e comincio a capire qualcosa di più. Un giorno mi prestano un basso elettrico, un vecchio Ibanez imitazione Fender Jazz con tanto di copri-pickup e corde lisce, pesante come un macigno; qualche anno prima avevo provato ad impararlo nell’ottica di un possibile (e strano) doppio ruolo di clarinettista-bassista in un’orchestrina locale, ma l’età e l’orario delle prove avevano fatto durare l’esperimento molto poco, ora mi viene voglia di riprovarci. Acquisto per ben 40mila lire un pezzo di legno con quattro corde e due pickup (non saprei come definirlo altrimenti) al quale erano stati perfino rimossi i tasti, recupero un vecchio amplificatore Montarbo e riparto con l’esperimento interrotto tempo prima. Ho iniziato da poco quando quel tipo che mi aveva prestato Kill ‘Em All mi dice che il suo gruppo sta cercando un bassista e mi propone di provare. Si chiamano Ghostrider, in saletta i volumi sono rigorosamente a 11, il batterista mi lascia allibito quando nella foga di una rullata capovolge un tom e stacca un piatto dal supporto, il cantante che incontrato in giro sembra un paninaro davanti al microfono si trasforma e fa sembrare Cronos un raffinato crooner. Il primo brano con cui devo misurarmi è Black Magic degli Slayer. Mi sento fuori posto, e non solo per le mie scarsissime doti tecniche. L’esperimento dura per qualche settimana, poi la possibilità di fare un salto di livello li convince a cercare un bassista serio e mollarmi con scuse abbastanza banali (il loro nuovo nome sarà Necrodeath, ma questa è un’altra storia). Nel frattempo ho compiuto 18 anni, e l’inatteso regalo dei miei è stato un Fender Precision originale. L’uscita dai Ghostrider è un trauma assorbito molto in fretta, contagio il mio compagno di banco (che stravede per i Kiss e opta per la batteria) e ci mettiamo a suonare in due. Dagli strumenti escono cose apparentemente improduttive, in realtà impariamo a conoscerci e capirci musicalmente, riempiamo cassette su cassette di improvvisazioni e la cosa tornerà utile qualche anno più in là.

cit_Twisted SisterAnche l’avventura radiofonica, prematuramente interrotta, ha un suo colpo di coda: una vicina di casa che collabora con una radio di Camogli mi chiede se mi va di prendere due ore al venerdì sera per fare un programma di hard rock, e che potevo chiedere di meglio? Parto armato di entusiasmo e vinili, visto che l’archivio non pare essere particolarmente fornito, e per un paio di mesi propongo delle scalette assolutamente bollenti. Aneddoto: una sera mi viene sete, in frigo non c’è nulla, in studio ci sono solo io, l’unica possibilità è il bar di fronte. Per risolvere il problema metto su l’intera At War With Satan (19 minuti), scendo tranquillamente a prendere una lattina e rientro mentre il disco ancora gira. A fine estate una distorsione mi costringe al gesso, per oltre un mese devo sospendere le mie esibizioni via etere. Una volta ripresa la mobilità e pronto a rientrare scoprirò che la mia fascia oraria è stata occupata da altri; la radio ha cambiato linea e d’ora in poi solo liscio e dialettale. In casa intanto ho dovuto armarmi di legno, colla e viti e costruire un mobiletto apposito per sistemare le cassette che ormai hanno raggiunto un numero ai limiti dell’ingestibile. Ogni nuovo arrivo è un rito, la copertina viene personalizzata e il contenuto registrato su un apposito quaderno ad anelli. Scopro l’esistenza dei bootleg e del tape trading e divento praticamente azionista del negozio di elettricità sotto casa dove compro le TDK a pacchi. Certo, bisognerebbe studiare ogni tanto. Sì, va bene, più tardi studierò. Forse.

(3 – continua)

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